Spesso senti parlare di “consapevolezza”, in ogni contesto e in ogni situazione. Purtroppo però la gran parte delle volte si usa questo termine assolutamente a sproposito.
Tendenzialmente si utilizza l’espressione “ne sono consapevole” per dire che se ne ha conoscenza, se ne ha memoria, ma la consapevolezza è altro.
Essa infatti è uno stato che deve essere raggiunto attraverso la consapevolezza stessa! Non esistono altre facoltà che permettono di sviluppare consapevolezza. E’ un muscolo che sviluppa se stesso.
Vedremo qui di seguito di chiarire meglio queste affermazioni andando ad analizzare, per quello che è possibile fare in un articolo, tutto ciò che sappiamo sulla consapevolezza.
Che cosa è la consapevolezza?
L’errore più grande che si fa a proposito della consapevolezza è quello di confonderla con l’identificazione. Potremmo dire che la consapevolezza è il contenitore dell’identità, ma non è solo quella.
Essere consapevoli viene inteso come essere al corrente di determinati processi interiori o esteriori, ma non è facile racchiudere la consapevolezza stessa.
Essa infatti non è quei processi, non è quel determinato pensiero o quello stato d’animo, ma è il contenitore dentro al quale quel pensiero o quello stato d’animo prende forma.
Il problema quindi per definire la consapevolezza è che il contenuto viene confuso con il contenitore e questo errore fatale è difficilmente risolvibile attraverso la logica.
Soprattutto al giorno d’oggi in cui certi concetti, particolarmente elaborati, vengono soppressi sul nascere poiché si è convinti che il mondo materiale rispecchi la nostra identità.
La consapevolezza potrebbe essere definita come la “materia prima” dell’essere umano, qualcosa che sfugge alla definizione e che non si fa pesare o misurare.
Si possono osservare e misurare gli effetti della consapevolezza, ma essa, di per sé, non è dato racchiuderla in una definizione, in parole, in numeri. La consapevolezza si raggiunge.
La potenza della consapevolezza
La consapevolezza è ciò che distingue l’uomo dalle pietre, dagli animali, dagli alberi… anche essi ci sono, esistono, ma non hanno la consapevolezza. Ecco perché bisogna pensare alla consapevolezza come la materia prima dell’uomo: è ciò che lo distingue dal resto del creato.
Vi sono però diversi gradi di consapevolezza: bisogna pensare ad essa come ad una scala, o ad una montagna se si preferisce. Più si sale in alto e maggiore sarà la consapevolezza.
Più ci si avvicina alla vetta e più completa sarà la visione d’insieme del paesaggio, più si rimane in basso e più stretta sarà la visuale e ristretto il campo. Ecco perché molti maestri parlano della consapevolezza come di un percorso.
Secondo molte tradizioni orientali servono più vite, in molti casi, per raggiungere la piena consapevolezza, come se ogni vita servisse soltanto ad elevarsi un poco di più della precedente sulla scala della consapevolezza.
Possiamo dunque dire che a livello potenziale, la consapevolezza è innata nell’uomo. Ma come precedentemente esposto si tratta di uno stato da raggiungere, livello dopo livello.
Purtroppo però esiste anche la possibilità di fare un percorso inverso, ovvero scendere dalla montagna della consapevolezza fino a livelli sempre più bassi. Degradanti.
Qui si aprirebbe un ampio discorso sul libero arbitrio o sulla predestinazione, sulle reincarnazioni, sulla differenza tra scelte morali e piano di coscienza…
Meglio non addentrarci in questo tipo di discorso poiché vi sarebbero da riempire migliaia di pagine. Possiamo però utilizzare una famosa citazione del Buddha per spiegare ancora meglio il concetto e introdurre le prossime considerazioni:
“La consapevolezza è il cammino per il senza morte, la mancanza di consapevolezza è il cammino per la morte. Coloro che sono consapevoli non muoiono, coloro che non lo sono è come se fossero già morti”.
L’appartenenza divina
Finché si è dentro alla mente, dentro al dualismo, dentro alla percezione del mondo materiale, si è in un vicolo cieco: non esistono reali soluzioni in questo stato. Non potrebbero esserci poiché il problema è stato generato dalla mente.
Qualunque problema che ci troviamo ad affrontare è sempre condizionato dalla mente e non è possibile trovare una soluzione all’interno del problema stesso.
Probabilmente si tenderà a dare la colpa dei propri problemi ad altri, ai contesti in cui ci muoviamo o alla nostra identità. In realtà per risolvere il problema si può attingere soltanto alla nostra sola risorsa: la consapevolezza.
Essa infatti è più grande di qualunque problema ed è oltre ogni tipo di fenomeno. Grazie ad essa quindi è possibile trovare la soluzione a qualsiasi ostacolo, poiché è più in alto e fuori dal tempo.
È dunque evidente che la consapevolezza non appartiene al corpo, né alla psiche, né alla sfera delle emozioni. Essa è qualcosa di spirituale, legata alle più alte e sottili consistenze.
La consapevolezza non muore con il corpo grossolano, essa vive nell’assoluta atemporalità e non ha nulla a che fare con la nostra vita biologica comunemente intesa. Potremmo dire che vi partecipa da osservatore esterno.
Per le tradizioni religiose antiche esiste dentro l’uomo un seme divino, una parte immortale, che deve essere sviluppata e che è costituita da una diversa consistenza. Non entra nella materia né nel tempo.
Se l’essere umano mira a sviluppare questa parte sacra, se si concentra per difenderla e darle spazio, assurgerà agli stati superiori di coscienza. In caso contrario si muoverà verso stadi inferiori.
Ne consegue che la felicità vera, in questa dimensione, è possibile soltanto attraverso questo compito: aumentare il proprio grado di consapevolezza. Distacco dalla materia quindi e concentrazione assoluta sulle finalità ultime dell’uomo.
Più si esercita questa dote, questo muscolo, e maggiore sarà l’altezza da cui si guarda all’esperienza di vita e, da quel punto, la visuale non potrà che testimoniare la giustezza della strada intrapresa.
E’ curioso notare che la consapevolezza parte sempre dall’individuo per poi trascenderlo: è infatti il singolo a sentire questa parte come propria, ma mano a mano che si sale di livello più ci si rende conto che la consapevolezza è unica, collettiva, universale.
Raggiunto questo livello di consapevolezza ci si rende conto che la nostra esperienza umana è soltanto una manifestazione grossolana della nostra Vera Vita di esseri sottili, ma noi non apparteniamo a questo mondo fisico. Non siamo terreni. Apparteniamo all’Altro.